Il castello che resistette ai Normanni, fu prigione, ospitò Tomasi di Lampedusa e in cui la Provvidenza benedice le nozze.
Costruito sulla estremità della cresta rocciosa di un promontorio, forse sede dell'antica città denominata Cena, si trova su una rocca imprendibile. La sua inespugnabilità era particolarmente dovuta alle sue mura, che cadevano a picco sull'orlo della roccia. L'origine del fortilizio è araba. I musulmani lo avevano chiamato, unitamente al piccolo casale circostante, "Rahl o Kalat Siguliana", e figura tra gli undici castelli che resistettero a Ruggero il Normanno, ma che furono distrutti dopo la resa di Agrigento, siglata il 25 luglio 1087. Dopo la guerra del Vespro, conclusasi con la pace di Caltabellotta (24 Agosto 1302), Federico Chiaramonte, figlio di Federico e dalla Marchisia Prefolio, signora di Caccamo, ricevette, in premio del suo valore, dal re Federico II° di Aragona la baronia di Siculiana unita a quella di Favara e di Racalmuto. Il Chiaramonte fece ricostruire l'antico castello arabo di cui giacevano rasi al suolo gli avanzi. Qui, nel 1311, venne celebrato, con grande pompa di apparati, il secondo matrimonio tra l'unica figlia di Federico Chiaramonte, Costanza (vedova del Marchese di Savona, Antonino del Carretto), e il nobile genovese Brancaleone Doria, governatore della Sardegna nel 1335. Pare che la scelta del Castello Siculianese fosse stata determinata, oltre che dall'incantevolezza del luogo e della struttura, da una credenza secondo la quale i patti conclusi nella rocca di Siculiana erano benedetti dalla Provvidenza. Questa credenza, misto tra fede e superstizione, elevò la rocca di Siculiana a simbolo di copiosità. Ciò, spiega le tantissime nozze ed accordi nobiliari che ivi si tennero. Brancaleone Doria è il personaggio citato da Dante alighieri nell'Inferno della "Divina Commedia" (canto XXXIII, versi da 133 a 153). Cessato in Sicilia il regime feudale, il Castello venne adibito a "bagno penale" (carcere). Su un'antichissima porta della cella d'isolamento sono ancora impressi i nomi dei carcerati, incisi di proprio pugno. Sino al 1924 fu adibito a carcere mandamentale. La proprietà passò, quindi, agli eredi del Barone Agnello i quali demolirono il "quarto nobile" (anno 1934), ovvero la parte di maggiore interesse storico ed artistico per costruirvi una sontuosa villa, in stile neogotico, che contrasta con le povere case dei popolani erette a valle, indizio inequivocabile di una struttura sociale ancora di traccia feudale. Ospite del Cavaliere Agnello, in quest'ultima villa dimorò, dal 4 settembre all'11 ottobre 1955 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, insigne scrittore del '900. Secondo diversi studiosi, qui, il Tomasi scrisse pagine dell'ultima parte de "Il Gattopardo", opera postuma.